Nel marketing, il prezzo non è solo una cifra su un cartellino: è un messaggio.
Parla di posizionamento, valore percepito, desiderabilità. E, in certi casi, più è alto, più funziona.
Pensiamo al lusso. In questo settore, il prezzo smette di essere una barriera e diventa uno strumento per alzare l’asticella del sogno. Un orologio da 1.000 euro può essere bello. Uno da 1.000.000 euro? È leggenda.
E se poi l’orologio in questione è un Richard Mille, ad esempio (ma il ragionamento vale per tanti orologi di lusso), allora il prezzo non è solo giustificato: è parte integrante del fascino. Materiali hi-tech, tirature limitate, testimonial di livello… ma soprattutto, una strategia chiara: non vogliamo piacere a tutti.
Il meccanismo è semplice quanto controintuitivo: alzare il prezzo restringe il pubblico, ma aumenta il desiderio.
In un mondo che predica accessibilità e convenienza, il lusso sussurra esclusività e inaccessibilità. E vince, proprio perché pochi possono permetterselo.
Ovviamente, questa leva non si improvvisa.
Non basta mettere uno zero in più sul cartellino per diventare premium. Anzi, se il brand non regge il peso della cifra, il rischio è quello di sembrare ridicoli, non esclusivi.
Perché il prezzo alto funzioni come leva di marketing, serve una narrazione coerente: ogni dettaglio — dal logo al packaging, dal tono di voce alla customer experience — deve comunicare valore, unicità, aspirazione.
Serve una brand identity solida, che dica chi sei, cosa rappresenti e a chi ti rivolgi.
E serve soprattutto un “perché” credibile dietro ogni cifra: materiali innovativi, produzione artigianale, edizione limitata, know-how riconosciuto… qualcosa che giustifichi e sostenga la percezione di lusso.
Il consumatore non paga solo l’oggetto. Paga l’appartenenza a un racconto.
Un racconto che deve essere tanto esclusivo quanto autentico.
Altrimenti, è solo fuffa patinata. E la fuffa, anche dorata, non vale mai quanto l’oro.