C’è qualcosa di profondamente storto nei palinsesti italiani. Ogni giorno, in ogni fascia oraria, troviamo una sfilata di “analisti”, “esperti” e “testimoni dell’ultimo minuto” che si aggirano intorno a tragedie umane come fossero aperitivi mediatici.
Bambini scomparsi, donne vittime di violenza, famiglie distrutte: materiale grezzo trasformato in spettacolo. Lutto? Dolore? No, format. Con titoli studiati a tavolino, luci da talk show e musica da thriller di serie B. Tutto per alimentare il mostro sacro dell’audience.
Ma davvero abbiamo bisogno di farci raccontare, con cadenza quotidiana, dettagli morbosi che non aggiungono nulla? Davvero la vita (e la morte) delle persone può diventare una sottospecie di fiction a puntate?
Intanto, fuori dallo studio, accadono cose. Guerre. Povertà crescente. Clima fuori controllo. Sanità allo stremo. Scuola dimenticata. Ma di tutto questo, meglio non parlare troppo. Non fa share. Non fa click. E soprattutto: non si monetizza bene.
E così la tv si trasforma in una finestra sul nulla, mentre la realtà – quella vera – resta fuori campo.
Forse è ora di cambiare canale. O almeno, di cambiare senso critico.